Nel DNA degli italiani, dalla ricostruzione del dopoguerra in poi, si è insediato il virus della cementificazione. Cementificare è considerato, a livello psicologico, la scelta più ovvia per rendere solido, eterno e duraturo il proprio spazio vitale in questo mondo nell’illusione che il tempo non interferisca più di tanto e non renda rapidamente vano l’impegno del costruire.
Se poi l’incauto architetto vorrà lasciare “il segno del proprio passaggio (= ego) sul territorio, le cose andranno di certo verso il peggio. E se la questione assume, come accade, una dimensione collettiva ampiamente condivisa da speculatori, archistar, politici, cavatori e cementieri che vorrebbero farci credere di muoversi per il benessere economico della nazione, allora benvenuti nella nostra Italia. Vitruvio del resto, come negarlo, aveva sentenziato che l’architettura deve possedere i requisiti di utilità, bellezza e solidità. Qualità che egli chiamò: utilitas, venustas, firmitas, ben note anche ai non addetti ia lavori che abbiano almeno frequentato un liceo. Verrebbe dunque da chiedersi se siamo ancora gli eredi di quella concezione o se magari da ultimo si è cercato solo di dare un po più di enfasi alla firmitas, ossia alla solidità della costruzione. Gli eventi bellici del resto avevano dimostrato che poi tanto solide le costruzioni degli italiani non erano.
Peccato però che la vitruviana utilitas, ossia la corretta distribuzione degli spazi dell’architettura e ancor più la venustas, la bellezza, l’estetica della costruzione, siano ormai merce davvero rara e che in ogni caso l’illustre architetto sapeva bene che non può esistere l’una senza le altre. E questo concetto molto semplice pare che strada facendo lo abbiamo davvero dimenticato.
Prima di realizzare le nostre case ai Caraibi di Costa Rica ricordo surreali chiacchierate con gli italiani che si erano già stabiliti in questa parte del del paese in cui il costruito è davvero effimero e non dimentico le smorfie di disprezzo quando parlavano delle “baracche di legno e lamiera degli afrodiscendenti“ come di una piaga da eliminare al più presto descrivendo poi con orrore le mille calamità cui sarebbe stata soggetta la casa se solo avessi osato costruire una poco solida costruzione di legno.
Quelle vecchie case, poche per la verità, erano tuttavia ancora li e rivelavano alcuni tratti comuni e mi parve dunque sensato provare a decifrarne il significato.
Cancellata dalla mente la triade Vitruviana il senso apparve rapidamente nella necessità di realizzare il minimo e l’utile per costruire un riparo, che è poi la principale funzione della casa, in coerenza con le condizioni locali del clima, dell’economia e della cultura di questa parte del paese che guarda verso l’ Europa e cui l’Europa guarda con sempre maggiore interesse ma con sguardo ancora troppo miope di “colui che sa” .
Non sono mai riuscito a persuadere un italiano a non riprodurre quella perversa idea di casa all’italiana e quindi a rinunciare ai blocchi di cemento, alle piccole finestre rigorosamente vetrate e alla poca ventilazione naturale.
Del resto se poi saranno intrise di umidità, caldissime e con muffe verdastre che dilagano, la soluzione sarà a portata di mano: le ferreterie locali ormai straripano di belle pompe di calore americane e infiniti prodotti della chimica per correggere ogni sorta di problema. La casa caraibica ben costruita non ha bisogno di tutto questo e non pare abbia mai conosciuto le regole di Vitruvio. Qui il materiale è il legno tropicale nelle sue infinite varianti e con le sue regole di estrazione, taglio e posa in opera che seguono tradizioni che ancora si tramandano
La brezza marina deve percorrere e arieggiare gli spazi interni ben arieggiati ed il caldo umido dell’interno deve fluire all’esterno mediante petatillos e monitor che con l’occasione diventano anche la decorazione della casa, il pavimento elevato da terra garantisce un minimo diprotezione da insetti ed acqua, mentre gli spazi semiaperti e sempre grandissimi delle verande rappresentano il cuore della casa, lo spazio in cui le esigenze degli uomini e la bellezza della natura si incontrano e si fondono senza difficoltà.
A pensarci bene non sono poi così sicuro che Vitruvio non conoscesse l’architettura caraibica.