Anna Venturini vi racconta una storia di giardini e banane….
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In Italia mangiavi solo banane Fair Trade. Firmavi i documenti internazionali per appoggiare i diritti dei lavoratori delle coltivazioni di banane di tutto il mondo. Sapevi dei veleni, dei soprusi, dello sfruttamento, delle ingiustizie che stavano dietro le grandi compagnie di importazione.
Poi ti trasferisci in Costa Rica. Hai boicottato la Del Monte, la Ciquita e la Dole per trent’anni e ora sono le tue vicine di casa.
Non ti resta altra alternativa che coltivarti le banane da solo. E’ facile. Una pianta curiosa, che gli antichi chiamavano musa paradisiaca. Priva di un vero e proprio tronco, formato in realtà da un fascio di foglie concentrico, dalla cui parte centrale si aprono come ventagli, via via, in una crescita che dura circa un anno. Poi un fiore meraviglioso, una gigante strelizia, con aromi di mango e vaniglia, in cui è racchiuso il frutto, un mistero della natura, che maturerà in pochi mesi. Sommergendoti. Ed è li che inizi ad odiarlo, il meraviglioso banano. Perché una cosa è gestire, che so, la produzione di un ciliegio o di un pesco. Ben altro è affrontare un casco di banane mature…
Prima vengono i frullati deliziosi, gli incredibili frappè. E poi torte, dolci, gelati, sorbetti, budini. L’entusiasmo si spegne al terzo vasetto di marmellata di banane, l’allegria defunge alla ventesima banana secca, la curiosità svanisce al secondo litro di liquore di banana, che hai prodotto, etichettato e simpaticamente chiamato bananello in un attimo di follia.
Il giorno successivo torni all’asilo. Hai speso un patrimonio in torte e biscotti, cartoni di latte e succhi di frutta. Penne, quaderni e colori.
La tua coscienza è salva.
Maledette banane.
1 commento
salve, cerco italiani per collaborare in costa rica per aitarmi a fare aquisti di frutta come.banana e ananas… grazie