Un articolo di Anna Venturini attraverso le miserie dei quartieri degradati di San Josè, quelli dove potete finire solo per sbaglio e che sono in genere segnalati come inavvicinabili in tutte le guide per turisti.
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Sono stata a San Josè. Mi sono persa, come al solito. La canzone del gruppo Malpais la descrive come la “ciudad onde no hay direcciones, pero en total todos saben lhegar”. Mica vero. Oggi ho scoperto la povertà, la dannata e nascosta povertà. Manchi un incrocio, svolti a destra anziché a sinistra. E arrivi lì, la tocchi con mano, ti entra nello stomaco e ti stravolge.
Dove hai vissuto tu, prima, non l’avevi mai vista. Dove vivi ora credevi di farne parte. La tua scelta di semplicità la stavi spacciando per povertà, a te stesso e agli altri, e ora inevitabilmente svanisce, non sei povero. Vivi in maniera semplice. E lo hai deciso tu.
Qui invece è Zona Rossa. Poche centinaia di metri dai fasti antichi e moderni del Teatro, da alberghi e casinò. Se ti senti male, qui, l’ambulanza non entra. Perché ti assaltano.
Due bambini mi osservano curiosi. Una signora mi grida di andarmene. Io non so come fare. Vorrei. Un cane giallo e magrissimo attraversa la strada davanti a me. Uno sguardo.
Mi avevano raccontato, sapevo della miseria, ma che bravi siamo a fare anche di questo immagini patinate…Due ragazzotti si avvicinano e mi si gela il sangue. A Puerto ti abitui alla gente che cammina con il macete alla cintura. Ma qui.Stavano solo passando, parlano con la signora. Mi guardano.. Le mie categorie mentali catalogano, non possono farne a meno.
Sono inebetita e penso : noi arriviamo qui come turisti fai-da-te attirati dall’idea magica dell’America Latina. Mi vedo con gli occhi di chi mi sta osservando. Noi siamo persone il cui cammino è segnato da occasionali incontri che non ci sfiorano. Tutti intrisi di profondità filosofiche ci rapportiamo agli altri dal nostro piedistallo di certezze.
Attraversiamo quartieri di povertà fisiche e psicologiche, arranchiamo tra mosche e zanzare, incrociamo smagriti animali e respiriamo tremendi fetori con l’occhio pragmatico della nostra presunta e presuntuosa superiorità culturale. Il nostro approccio è complessivamente un disastro di cui non ci renderemo mai conto: non apprendiamo nulla, non insegniamo nulla. Siamo come quei turisti che danno cinque dollari a un bambino perché, poverino… La nostra presenza è inutile per noi e devastante per chi la riceve.
Procedo lentamente, l’automobile che ho noleggiato fatica a schivare la spazzatura ammucchiata. Io ho speso cento dollari per far costruire una bella struttura ordinata grande e pulita per la mia dannata spazzatura.
Mi sento male. Un bambino sta rovistando in un mucchietto. Io mi sento male. Non so come mi permetto di sentirmi male li,pessima attrice tragica in un palcoscenico di miserie altrui.
Siamo inconsapevoli di tutto questo. Inconsapevolezza che lascia cicatrici, incapacità di confrontarsi. Noi abbiamo spesso solo il bisogno affermare noi stessi come persone complete e questo ci riesce perfettamente nel confronto con una realtà satura di mancanze fisiche e morali. Ma queste miserie reali e tangibili?
Una ragazzina mi fa cenno di abbassare il vetro. Non ci penso neanche. Ma è una ragazzina! Mi faccio domande che non presuppongono risposte e apro il finestrino. “Mami -mi dice- aqui te matan por solo una lhanta de tu carro”. Non so come fare a uscire. Me lo legge negli occhi. La mia paura, lei la vede.
“Subame, yo te lhevo”. La mente produce produce ma non esce niente. Tutto un mondo che sfugge alla sua comprensione.
Riguardo ora, sul computer, la foto che ci siamo fatte col mio cellulare. Non ha voluto nulla. Grazie. Tutto un mondo che sfugge alla nostra comprensione. Una foto al computer. Me la riguardo, è un pò storta e sovraesposta…
Tutto un mondo che sfugge alla nostra comprensione. Un mondo da fotografare, da immortalare nel ricordo di uno scatto fotografico che la digitalizzazione ha reso anche meno indelebile. Tanti scatti, tante immagini. Quelle brutte poi si cancellano. Angosciante metafora del nostro modus vivendi. Anche una fotografia è intollerabile se pretende di mostrarci la realtà. Dobbiamo poter intervenire, bilanciare i colori, scontornare le immagini, migliorare il contrasto di questo reale così insopportabile da dover essere aggiustato al computer…
4 commenti
Spesso su questi argomenti stendiamo un velo pietoso ma la faccia violenta di San Josè è proprio quella.
complimenti …. molto vero è cruda realtà
Si chiama Anna e la trovi a questo indirizzo anna.amandla@hotmail.com
Cari saluti
Alfredo
non ho mai letto nulla di più realistico. complimenti all’autrice!