L’espressione prodotti alimentari a km zero, mutuata dall’anglosassone food miles, definisce quella categoria di alimenti per la quale si accorcia o elimina la distanza tra produttore e consumatore, riducendo di conseguenza i costi economici e ambientali che derivano da trasporto. Tra la campagna e la nostra tavola, gli alimenti subiscono eccessivi passaggi di lavorazione (raccolta, lavaggio, pulitura, primo stoccaggio), confezionamento (spesso dispendioso, a seconda della destinazione finale) e infine, accesso alla grande distribuzione organizzata che opera attraverso numerosi altri intermediari fino allo scaffale del supermercato. Non meravigliamoci del fatto che prima di giungere sulle nostre tavole un pasto medio percorra quasi duemila chilometri. Le ragioni per preferire il più possibile i prodotti a chilometro zero sono intuitive e di grande impatto etico. Si tratta di favorire le coltivazioni biologiche dei piccoli produttori locali, favorendo in tal modo :
– Il rispetto ambientale. La riduzione dell’anidride carbonica prodotta grazie all’abbattimento dei trasporti soprattutto su gomma, il risparmio in acqua ed energia dei processi di lavaggio e confezionamento e l’eliminazione degli imballaggi di plastica e cartone rendono questi prodotti realmente ecosostenibili.
– Il rispetto nutrizionale. Sono prodotti di stagione e del territorio e stante il breve trasporto e stoccaggio mantengono intatte tutte le caratteristiche organolettiche e i principi nutritivi, come le vitamine.
– Il rispetto della sicurezza alimentare. Sono molti i prodotti che vengono importati da paesi lontani con normative poco rigorose in termini di controlli igienico-sanitari con conseguente maggiore rischio per la salute.
– Il rispetto dell’economia di chi produce e consuma. L’eliminazione delle intermediazioni e dei trasporti abbatte il costo al consumatore in misura del trenta per cento.
– Il rispetto degli standard di controllo sul prodotto. Grazie al rapporto diretto con il produttore agricolo è possibile attuare un acquisto più consapevole e trasparente.
La scelta di utilizzare prodotti a chilometro zero si pone in contrapposizione con la logica del mercato globale. È una scelta ambientalista, etica e sostenibile, alla scoperta della tipicità e del territorio. Come sempre, sono le scelte del singolo che possono modificare le tendenze. Iniziamo quindi con acquisti più accorti, scegliamo prodotti di stagione, magari facendo riferimento a realtà di vendita diretta o ai molti prodotti locali che possiamo reperire facilmente, oggi, anche nella stessa grande distribuzione.
Prenotate una cena con noi, vi prepareremo una varietà di piatti realizzati con materie prime locali, frutta e verdura coltivate da piccoli agricoltori, formaggi artigianali, deliziosi sapori tropicali cucinati con attenzione tutta italiana, in una commistione di cultura caraibica e gusto italiano. Scoprirete una cucina saporita e originale, completamente biologica e rispettosa della tradizione, realizzata in casa con prodotti naturali e mucho amor!
—————————————–
Cucinare a chilometro zero
Una cucina semplice, ispirata dall’idea di permettere al cibo di essere quello che è, di ricordarci in quale paese e in quale stagione ci troviamo, che ci permetta di riconnetteci alla natura, alla biodiversità e alla vita in contatto con la terra
Perché vegetariani
Nulla darà la possibilità della sopravvivenza sulla terra
quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana
( Albert Einstein )
La scelta di non mangiare carne è maturata in molti anni. Che sforzo, direte voi. Ma le scelte sempre derivano da una serie di eventi che determinano la nostra vita e i nostri comportamenti. Appena laureata nonostante l’impegno, i risultati e il fervore culturale, un’occhiata un po’ più approfondita a quei mondi del giornalismo e dell’insegnamento universitario che si prospettavano come il mio futuro, mi fecero capire che non mi assomigliavano. Non ho mai avuto problemi con le scelte. L’energia, l’entusiasmo e la curiosità sono sempre stati più forti dei legami. Bazzicavo per le cucine dei ristoranti da quando avevo tredici anni e quel mondo si, che mi assomigliava. Avevo esperienza e gavetta da vendere. Ripresi a studiare per colmare quel vuoto che la pratica non ti potrà mai dare e realizzai il mio sogno. Aprire un ristorante. Furono anni di lavoro duro, di grande entusiasmo, di esaltazione e iperattività. La cucina era il mio laboratorio. Da li uscivano la mia fantasia, la mia forza e la mia creatività. Non c’era spazio per altro. Sperimentazione, attraverso la cultura gastronomica, la scelta degli ingredienti, nell’euforia della creazione. Quando un vegetariano varcava la porta del ristorante storcevo la bocca e mi inventavo qualcosa di banale e scenografico perché non avesse la sensazione di pagare uno sproposito per un pinzimonio di verdure che poteva mangiarsi tranquillamente a casa sua.
Con gli anni il bisogno di sperimentare si è ovviamente evoluto e le scelte si stavano selezionando sulla qualità reale delle materie prime, sulla loro reperibilità in loco, sulla valutazione della natura da cui provenivano. Il biologico lo conoscevo da sempre, in casa si mangiava frutta e verdura dell’orto, e mai avrei messo in tavola una fragola a Natale o un carciofo a Ferragosto. Si mangia quel che si produce in quella stagione e se in inverno la vita del cuoco è più dura per carenza di materie prime, pazienza, condiremo il piatto con la fantasia.
Poi altre scelte e altri cambiamenti mi hanno portata a coltivare piante e fiori e riprendere quel contatto con la terra che per me era stato da sempre naturale e la cui mancanza stava inconsapevolmente creando un vuoto nella mia vita, nella mia percezione delle cose.
Ora che ho ripreso in mano la terra, per così dire, ho poco a poco ricostruito un mondo che mi pare più sensato. Non mangiare carne è parte di quel mondo, e i motivi sono diversi. Mangiare carne non è etico per gli animali, che vengono allevati in maniera indegna, maltrattati e tormentati con stili di vita stressanti per poi essere uccisi. Non è etico per noi stessi perché gli allevamenti mantengono un livello di produttività alto somministrando agli animali sostanze chimiche e antibiotiche che danneggiano la loro salute e la nostra. E, sollevando un poco lo sguardo dalla nostra tavola, non è etico perché viviamo su un pianeta in agonia dove si produce il doppio di quello che sarebbe necessario produrre per garantire una corretta alimentazione a tutti i suoi abitanti, e dove invece quella produzione viene riservata al venti per cento della sua popolazione
Ogni giorno muoiono venticinquemila persone di fame sulla terra, e nessun OGM salverà il mondo. La soluzione non è un EXPO sponsorizzato da improbabili McDonald e Coca Cola, costato circa la metà di quanto la FAO stima sia necessario investire per sfamare il terzo mondo per un anno intero. Questa gigantesca fiera del business è una beffa crudele dei paesi responsabili della vergogna dell’iniqua distribuzione dei beni comuni. Forse con un po’ più sobrietà e meno sprechi e sfarzo si poteva ugualmente parlare di come invertire il processo distruttivo operato ai danni della terra e degli uomini, alla loro salute e alla loro dignità. Insieme ad una serie di atteggiamenti responsabili, nel consumo e nella produzione, anche limitare il consumo di carne a livello mondiale significherebbe contribuire alla salvezza del pianeta.
È un percorso difficile e urgente che può solo dipendere, come sempre, dalle nostre scelte. Se la questione etica dell’animale ucciso per essere mangiato non ci fa riflettere, o non ci tocca perché la nostra cultura è più forte, cerchiamo almeno di combattere il sistema degli allevamenti, le grandi produzioni, dell’assurdo meccanismo per cui negli ultimi trent’anni la richiesta del mercato non sembra più dipendere dai consumatori ma dalle scelte indotte. La verdura e la frutta dovrebbero arrivare sulle nostre tavole dagli orti dei piccoli produttori consapevoli o dalle aziende responsabili. Ci sono, lo sappiamo tutti, spesso è più caro o più scomodo servircene, o siamo più disposti a spendere dieci euro per un medicinale da banco che curi una fantomatica allergia o la gastrite piuttosto che per qualche chilo di frutta piccola e un po’ bruttina a vedersi. Siamo noi a decidere e le nostre scelte determinano il mercato. A fare la differenza siamo noi tutti, singolarmente e quindi collettivamente.
Nel mio quadratino di mondo, ora che ho ripreso in mano la terra e che ho al tempo stesso lavoro in una piccola forma di ristorazione consapevole, avrò modo di fare ancora una volta qualcosa che mi assomigli. Cambiare il mondo si può solo se cambiamo un po’ anche noi.